Sono molto emozionato per questo video: ciò  che stai per vedere è un’anteprima del mio prossimo videocorso, che sarà un corso  di livello avanzato. Presta attenzione, perché darò notizie del corso solo a chi  è iscritto alla lista di attesa lascio al link in descrizione. Ma ne riparliamo  alla fine: ora ascoltiamoci l’episodio. Ogni italiano, a differenza della maggior parte  degli abitanti di paesi più sviluppati come gli Stati Uniti, l’Inghilterra, la Francia  e la Germania, di solito non deve andare nel lontano passato per ricordare la miseria.  Anche i ragazzi di oggi hanno spesso ancora vivi, o li hanno conosciuti, dei nonni che vissero la  povertà e la fame di un paese molto arretrato. Tutti hanno un’immagine molto specifica  dell’Italia nella loro testa: antichi villaggi sopra una collina, circondati da campi, vecchie  chiese nelle quali si raduna una popolazione fortemente cattolica. Il sapere degli artigiani,  capaci di produrre bei prodotti con le loro mani. Ma oltre a questo, c’è anche l’estrema povertà  di un mondo contadino, semplice e arretrato: dove si fanno tanti figli, si mangia  insieme al tavolo, non si mette in dubbio l’autorità paterna e si vuole bene alla mamma. È un’immagine tutto sommato corretta, se si parla dell’Italia prima della seconda guerra mondiale.  Dopo gli splendori del Rinascimento - l’epoca della grande rinascita culturale e artistica  dell’Europa che mosse i primi passi a Firenze - l'Italia attraversò secoli di declino.  Un tempo una delle regioni più ricche e sviluppate d’Europa, a metà dell’Ottocento l’Italia  era diventata una delle più povere regioni del continente, divisa in diversi staterelli  poco importanti nello scacchiere europeo. L’unità, l’unificazione, raggiunta nel 1861,  per le classi dirigenti italiane divenne l’occasione per recuperare questo divario:  vennero costruite nuove strade e ferrovie e, a fine ‘800, inizio perfino una piccola e limitata  rivoluzione industriale nel paese: protagonista ne fu il cosiddetto triangolo industriale, ovvero le  città di Milano, Torino e Genova, nel Nord-ovest italiano. Qui si concentravano le fabbriche  siderurgiche (cioè legate alla produzione del ferro), degli armamenti e dei trasporti. Nonostante questi cambiamenti, però, l’Italia di inizio ‘900 rimaneva tutto sommato  un paese contadino con qualche industria moderna. Il Fascismo, regime totalitario che governò per  vent’anni circa tra le due guerre mondiali, prese un paese contadino e arretrato e, allo scoppio  della seconda guerra mondiale, governava ancora un paese contadino e arretrato, ma con inutili  ambizioni imperiali, fallite molto presto. Dopo la guerra, nel 1945, l’Italia era un paese  allo stremo: privo di fonti energetiche, come il carbone e il petrolio, con le fabbriche e le  infrastrutture distrutte dalla guerra. Una fragile democrazia prese le redini del paese, mentre gli  italiani decisero di passare dalla Monarchia alla Repubblica attraverso un referendum. La  guerra aveva fatto enormi danni al paese: erano morte circa mezzo milione di persone,  tra soldati e civili, le infrastrutture e le fabbriche erano state bombardate e per lo più  distrutte. L’Italia, per le potenze alleate, era un paese nemico e sconfitto. Eppure la logica della guerra fredda aiutò a rendere importante il paese: la sfera di  influenza dell’URSS, o Unione Sovietica, arrivava ai confini dell’Italia, che era invece per lo più  occupata da truppe americane: l’Italia, infatti, a differenza della Germania, era stata conquistata  solo da forze angloamericane. Nelle elezioni del 1948 vinse il partito della Democrazia Cristiana,  vicino agli USA, ma il problema era che il più grande partito di opposizione era il PCI, il  Partito Comunista Italiano. Gli Stati Uniti non potevano perdere la loro influenza sull’Italia,  paese strategicamente importante: per farlo, occorreva ricostruire rapidamente il paese, in  modo da dare al governo in carica una possibilità di non essere sconfitto dai socialisti. In teoria, l’Italia sembrava un paese del tutto inadeguato ad un grande balzo in  avanti: la società italiana era povera e con una bassa scolarizzazione: ancora un  15% circa della popolazione era analfabeta, due terzi lavorava nei campi, spesso in aziende  agricole con pochi capitali. Nel paese non si era ancora sviluppata un’economia di massa:  per fare un esempio, mentre negli USA prima della seconda guerra mondiale circolavano circa 25  milioni di automobili, una ogni cinque abitanti, e in Francia e Inghilterra, i paesi più avanzati  in Europa, c’erano circa un milione di auto – in Italia nel 1937 giravano appena 270.000 auto,  una ogni 200 abitanti, ed erano quasi tutte concentrate nelle grandi città. L’Italia aveva  poche grandi fabbriche; una di queste era la FIAT, il più grande produttore nazionale di auto  che aveva sede nella mia città di Torino. Gli Stati Uniti decisero un colossale sforzo  di aiuto alle economie europee distrutte dalla guerra, il cosiddetto piano Marshall, che diede  all’Italia circa 1,2 miliardi di dollari di aiuto, pari a più di 15 miliardi di dollari ai  nostri giorni. Grazie allo straordinario sforzo del piano Marshall, già nel 1949  l’Italia aveva recuperato la produzione industriale prebellica, un ottimo risultato. Eppure è proprio a questo punto che si innescò il “boom” economico italiano, o “miracolo  economico”, un travolgente periodo di crescita, trasformazione e cambiamento senza precedenti che  portò a quel salto di qualità allo sviluppo del paese. Un balzo in avanti che non era riuscito  ai politici che avevano fatto l’Unità del paese, nell’Ottocento, e men che meno al Fascismo. Tra il 1950 e il 1970, l’Italia fu il paese europeo con la maggiore crescita, assieme alla  Germania: nel mondo la crescita italiana fu superata solo dal Giappone. Le ragioni del boom  erano complesse, ma avevano a che fare con la presenza di una grande manodopera a basso costo,  unita alla capacità artigianale e industriale che in Italia era latente, ma che non aveva mai  trovato i capitali o gli sbocchi di mercato per poter crescere rapidamente. I capitali, dopo  decenni di isolamento causato dal Fascismo, fluirono nel paese grazie al generale  sviluppo postbellico, ma furono agevolati anche dall’adesione dell’Italia - come paese  fondatore - alla comunità economica europea, il cui trattato fondamentale fu firmato nel  1957, a Roma. Comunità economica europea che era l’antenato dell’Unione Europea di oggi. L’Italia  si mise anche ad inventare nuovi prodotti: dalla Vespa – la due ruote simbolo degli anni  ’50, venduta in tutto il mondo – ai calcolatori della Olivetti, che anticiparono lo sviluppo dei  computer, per non parlare dei prodotti plastici in polipropilene. L’Italia divenne infatti uno dei  paesi più all’avanguardia nella produzione della plastica, il materiale simbolo del dopoguerra. Per agevolare la crescita, il governo democristiano varò un imponente piano di opere  pubbliche: il fascismo si era concentrato nella costruzione di infrastrutture, ma erano state  tutte piuttosto inutili alla crescita economica e non avevano davvero modernizzato il paese.  L’Italia, negli anni ’50, decise di imitare e, per certi versi, anticipare gli Stati Uniti,  puntando tutto sulla motorizzazione del paese: nonostante le auto fossero ancora poche, nel  giro di qualche anno la Repubblica costruì un’estesa rete autostradale, la prima moderna  rete autostradale europea. Nel 1969 circolavano ben nove milioni di auto nel paese, per lo  più prodotte in Italia da FIAT e Alfa Romeo, con un tasso di motorizzazione di un’auto per ogni  5 abitanti circa. Il paese era inoltre inondato di motociclette e motorini, autobus e camion. Qualcosa di simile accadde in molti altri settori produttivi: a fine anni ‘50, l’Italia era il più  grande produttore europeo di elettrodomestici. Gli italiani acquistavano per la prima volta  nella storia, in massa, dei prodotti industriali come televisori, frigoriferi, tostapane,  lavatrici e lavastoviglie. In contemporanea, l’Italia divenne improvvisamente un grande  esportatore di mobili e articoli di lusso, come i vestiti, gioielli, orologi, occhiali. Nella  maggior parte dei casi, gli italiani misero a frutto la loro sapienza artigianale nel produrre  prodotti di moda, arredamento e personali: gli artigiani del periodo prebellico si trasformano in  industriali, con fabbriche in rapida espansione. Nascono in questi anni, o si sviluppano, aziende  di mobili come Kartell - specializzata in mobili di plastica – mentre nella moda nascono  colossi come Gucci, Prada e Valentino. Questo sviluppo non era più concentrato solamente  nel vecchio “triangolo industriale” tra Milano, Torino e Genova – una parte piccola del paese  – ma si diffuse in tutto il centro nord, soprattutto in regioni che erano  rimaste agricole e sottosviluppate, come l’Emilia-Romagna, il Veneto e la Toscana,  ma non solo. Inizialmente il miracolo economico si avvalse soprattutto di manodopera locale,  contadini e figli di contadini che scappavano dalla miseria dei campi per cercare un futuro  nelle nuove fabbriche nella città vicine. Presto però al nord si giunse praticamente alla piena  occupazione, il che causò un nuovo fenomeno che porterà rapidamente ad un’Italia più unita, e  più complessa: l’immigrazione dal Sud al Nord. Fino agli anni del boom economico, la scelta di  tantissimi italiani per scappare dalla miseria era stata una sola: emigrare all’estero, verso gli  Stati Uniti, il Sudamerica, i paesi dell’Europa del nord. Eppure, l’apertura di nuove fabbriche  e il travolgente sviluppo economico aprirono improvvisamente nuove opportunità. Presto si  innescò un colossale processo di emigrazione dal povero Sud del paese verso il Nord: negli anni  ’50 e ’60, circa nove milioni di persone migrarono dalle regioni del mezzogiorno a quelle del Nord  Italia, verso Milano, Bologna, Torino, Genova e tante altre città. L’emigrazione di massa dal sud  ebbe potenti effetti sociali, perché regioni che fino a quella data erano rimaste completamente  separate l’una dall’altra, con dialetti, cultura, cucina differenti si trovarono per la prima  volta a stretto contatto: nel Nord, si sviluppò un certo razzismo e pregiudizio nei confronti  dei meridionali, che si dovettero confrontare con realtà molto diverse, nelle quali era  difficile integrarsi. Nella mia Torino, pensate, spesso si potevano vedere sulle case cartelli  con la scritta “non si affitta ai meridionali”. Per la prima volta, a Milano si incominciò  a vedere la pizza dei napoletani, ma cambiò in generale la cultura gastronomica: per molti  versi, come vedremo in una lezione successiva, la cucina italiana come la conosciamo oggi,  che si crede abbia una storia secolare, si forma proprio in questo periodo. Cambiò anche la  stessa lingua: mentre prima del boom gli italiani parlavano quasi esclusivamente il loro dialetto (o  lingua regionale), il contatto tra le regioni e la nascita di nuovi media come la televisione,  insegnarono alle generazioni di italiani che stavano uscendo dalla miseria a parlare in  italiano. Certo, era un italiano spesso parlato con ancora qualche difficoltà e qualche deviazione  dalla norma letteraria, ma finalmente gli italiani avevano una lingua per comunicare tra di loro. Le esigenze della ricostruzione postbellica e il rapidissimo sviluppo economico costrinsero  il paese a costruire nel giro di pochi anni più di quanto si fosse costruito in Italia in cento anni:  le città si allargarono a dismisura, aggiungendo nuovi quartieri di palazzi costruiti di fretta  e senza troppa attenzione al bello, generando quelle periferie italiane che – se avete avuto  occasione di visitare l’Italia – sono il vero volto del paese, dove vive la maggior parte dei  suoi abitanti. Io in questo momento della mia vita vivo proprio in una di quelle periferie. Milano  e Roma esplosero, arrivando quasi a raddoppiare la popolazione nel giro di venti anni. Questo straordinario sviluppo non poteva non influenzare anche la cultura: il cinema  italiano conobbe a sua volta un periodo d’oro, nel quale gli studi romani di Cinecittà, voluti  dal Fascismo, furono finalmente messi al servizio di una vera industria cinematografica avanzata,  con l’arrivo in massa degli studios americani, che a Roma produssero film come Quo Vadis e  Ben Hur. Le star del cinema affollarono Roma, mentre i fotografi facevano a gara per inseguire  le loro avventure: Federico Fellini, uno dei più grandi registi italiani, coniò una nuova parola  che ha fatto il giro del mondo: “Paparazzi”. [Maddalena: Ah, ci sono i suoi amici all'attacco. Paparazzi: A Marcé, ma do' vai tutto acchittato? Paparazzi: Signorina Maddalena? Maddalena: No, vi prego, lasciatemi in pace, stasera. Paparazzi: Bentornata, eccola qua, più fotogenica di una diva! Maddalena: Tutte le sere è la stessa storia, ma non si scocciano mai, questi qua? Marcello: Paparazzo, basta. Ma dovrebbe esserci abituata, ormai.  Lei è un personaggio della cronaca. Paparazzi: A Marcè, e dicci dove vai!] Il cinema italiano, in quegli anni, creò nuovi generi che avranno una grande fortuna  anche all’estero, come gli spaghetti western, la triste “commedia all’Italiana”, sospesa tra  commedia e tragedia, il neorealismo. In questi anni si sviluppò anche una cultura di massa:  mentre libri e giornali erano ancora consumati poco, e solo dall’élite del paese (non che oggi  gli italiani siano un popolo di lettori ma vabbè), la televisione entrò in tutte le case: Mike  Bongiorno, un italoamericano arrivato in Italia per portare la TV statunitense in Italia,  inaugurò le trasmissioni della RAI nel 1953, pochi anni dopo tutto il paese si fermava ogni volta  che andavano in onda i suoi quiz televisivi. Prima della Seconda guerra mondiale, la  stragrande maggioranza degli italiani aveva poco tempo libero, e lo trascorreva per  lo più in casa. Durante il miracolo economico, nacque anche l’industria delle vacanze: sui treni  e sulle nuove autostrade, gli italiani scoprirono il piacere del mare e delle montagne. Le nuove  canzoni che andavano per la maggiore cantavano di una vita fatta di piaceri, di amori più liberi,  di estati al mare. Le canzoni diventavano celebri soprattutto se presentate al festival di Sanremo,  un appuntamento annuale che ispirerà poi un’altra gara di canzoni, l’Eurovision song contest  (all’epoca ancora chiamato Eurovisione!). In generale l’edonismo e la nuova vita  consumistica riducono l’importanza della religione: la stragrande maggioranza degli  italiani restava cattolica e praticante, ma la Chiesa ebbe sempre più difficoltà nel  dettare il modo di vivere agli italiani, che incominciarono a diventare sempre  più indipendenti dai suoi dettami. Ma di questo parleremo in un altro episodio del corso. Per le donne, il “miracolo economico”, come venne chiamato in Italia, fu l’occasione per iniziare  la lunga marcia dell’emancipazione dall’oppressiva società patriarcale italiana. La diffusione di  prodotti come la lavatrice e poi, in numero molto minore, la lavastoviglie, liberarono la donna di  molti lavori domestici. Il 27 ottobre del 1957, a Milano, aprì il primo supermercato moderno: le  donne potevano scegliere più prodotti di consumo, in un solo luogo, risparmiando il tempo  dedicato alle spese. Le donne abbandonarono anche i pesanti e pudici vestiti delle loro  madri e nonne e indossarono reggiseni, calze, collant. Negli anni ‘60 arrivarono anche  i pantaloni e le minigonne, quasi a voler affermare la nuova morale del dopoguerra. Molte  donne iniziarono ad entrare nel mondo lavorativo, dopo decenni di impedimenti e proibizioni sotto il  fascismo. Eppure per le donne italiane la marcia per ottenere più diritti sarà molto lunga:  solo negli anni ’70 le donne conquisteranno il diritto al divorzio, all’aborto e ad  un trattamento assolutamente equivalente a quello dei maschi di fronte alla legge. Per concludere, l’Italia della prima metà del Novecento era simile alla società contadina  che era sempre stata – sin dai tempi dell’Impero romano. Gli anni ’50 e ’60 furono invece un’enorme  discontinuità nella storia politica, sociale, economica. L’Italia con il “miracolo economico”  entrò a tutti gli effetti tra gli stati più avanzati del pianeta. Da allora, pur con tutte  le differenze del caso, la vita degli italiani non è molto diversa da quella dei loro coetanei  in Europa, Giappone e Nord America. L’immagine dell’Italia moderna all’estero – fatta di  buon cibo, vestiti alla moda, auto sportive, Vespa – ha la sua origine per lo più in questo  periodo, e da allora non è mai cambiata del tutto. Il boom economico degli anni ’50 e  ’60, se visto nel lungo periodo, è stato probabilmente il più importante e rapido periodo  di cambiamento che l’Italia abbia mai vissuto. Sei arrivato o arrivata fin qui? Significa forse  che ti è piaciuto ciò che hai appena visto. Come dicevo all’inizio, questa era un’anteprima del  primo episodio del mio nuovo videocorso a cui sto lavorando da qualche tempo. Se vuoi avere  novità su questo progetto (di cui non vedo l’ora di parlarti) iscriviti alla lista d’attesa che  ti lascio qui sotto nella descrizione del video. In questa prima fase di lancio darò notizie sul  corso solo a chi è iscritto alla lista d’attesa, e quando sarà disponibile potrai comprarlo  a un prezzo speciale e con dei bonus solo per gli iscritti alla lista d’attesa. Ho  detto troppe volte “lista d’attesa”? Vabbè, così è chiaro… Quindi apri il link in  descrizione, iscriviti e presto avrai notizie.