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I viaggi di Gulliver
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Capitolo 1 – Un medico in mare
Mi chiamo Lemuel Gulliver e ho
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sempre amato viaggiare. Dopo aver studiato
medicina, ho lavorato su varie navi come
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medico di bordo. La vita in mare non
è facile, ma io l’ho sempre trovata
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affascinante. Ho visto tempeste, porti lontani,
animali strani e persone con usanze diverse.
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Il mio ultimo viaggio è partito da Londra. La
nave era grande e l’equipaggio esperto. All’inizio
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tutto è andato bene, ma dopo alcune settimane
il tempo è cambiato. Il cielo è diventato nero,
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il vento ha cominciato a urlare,
e le onde sembravano montagne.
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La tempesta ci ha colpiti in pieno. Abbiamo
perso il controllo della nave. Un’onda enorme
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ha distrutto parte del ponte e molti uomini sono
caduti in mare. Io sono riuscito a salire su una
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scialuppa, ma poco dopo sono stato spinto in
acqua. Ho nuotato il più possibile, anche se
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avevo paura e non vedevo nulla davanti a me.
Quando mi sono svegliato, ero su una spiaggia.
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Ero stanco, bagnato, confuso… ma vivo. Ho cercato
di muovermi, ma non potevo. Le mie braccia e le
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mie gambe erano bloccate. Ho sentito qualcosa
camminarmi sul petto. Ho girato leggermente la
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testa e… non potevo credere ai miei occhi.
Un minuscolo uomo, alto quanto un mio dito,
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stava camminando sopra di me.
Poi ne ho visti altri. Dieci. Venti.
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Forse cinquanta. Tutti piccoli,
tutti armati di arco e frecce.
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Ho provato a urlare, ma uno di loro ha
lanciato una freccia che mi ha punto sul viso.
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Era chiaro che non ero il benvenuto. Ma dove
mi trovavo? E chi erano quei minuscoli soldati?
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Non lo sapevo ancora, ma la mia
avventura era appena cominciata.
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Capitolo 2 – Il gigante tra i lillipuziani
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I piccoli uomini mi hanno legato con delle corde
sottili ma resistenti. Non riuscivo a liberarmi,
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ma ho cercato di restare calmo. Dopo qualche
ora, mi hanno dato da bere un liquido
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strano e dolce, e poi sono svenuto.
Quando mi sono svegliato di nuovo,
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mi trovavo dentro a un enorme carro di
legno, trainato da centinaia di cavalli
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minuscoli. Mi stavano portando nella
loro città. Il viaggio è durato ore.
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La gente usciva dalle case per vedermi: bambini,
donne, soldati… tutti piccoli, ma molto curiosi.
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Mi hanno messo in un tempio abbandonato, che
per loro era gigantesco. Lì ho potuto riposare.
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Ogni giorno mi portavano da mangiare:
carne, pane, vino, tutto in miniatura.
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Io cercavo di essere gentile. Sorridevo,
parlavo piano e non facevo movimenti bruschi.
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Dopo qualche giorno, hanno deciso che non
ero pericoloso. Il re di Lilliput ha voluto
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incontrarmi. È arrivato con grande cerimonia,
seduto su un piccolo trono portatile. Mi ha
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parlato con voce forte e sicura, ma io
non capivo la sua lingua. Per fortuna,
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alcuni studiosi hanno iniziato a insegnarmi
parole e frasi. Imparavo in fretta.
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Dopo alcune settimane, parlavo abbastanza bene
da capire cosa voleva il re. Mi ha chiesto di
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aiutare il suo regno. Lilliput era in guerra con
l’isola vicina, Blefuscu. Il re voleva usare me,
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il gigante buono, come arma segreta.
Io non sapevo cosa rispondere. Volevo
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essere grato, ma non volevo nemmeno
diventare uno strumento di guerra.
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Una notte, mentre tutti dormivano, ho
sentito dei passi leggeri vicino al
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mio letto. Una voce piccola ha sussurrato:
“Attento… c’è un complotto contro di te.”
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Mi sono bloccato. Chi voleva
farmi del male? E perché?
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Capitolo 3 – Tradimento e fuga
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Quella notte non ho dormito. Le parole
che avevo sentito mi giravano in testa:
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“C’è un complotto contro di te.”
La mattina dopo ho visto la giovane persona
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che mi aveva avvertito. Si chiamava Frelia, una
studiosa curiosa che parlava bene la mia lingua.
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Mi ha spiegato tutto: alcuni ministri del
re erano gelosi di me. Pensavano che fossi
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troppo potente. Dicevano che un giorno mi
sarei ribellato e avrei distrutto Lilliput.
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Il re non sapeva che fare. Io ero utile, sì,
ma anche pericoloso. Così i ministri avevano
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convinto il re a firmare un piano segreto:
mi avrebbero accecato. E poi, lentamente,
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mi avrebbero fatto morire di fame.
Quando ho sentito queste parole,
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ho provato rabbia, ma anche tristezza. Avevo
sempre aiutato i lillipuziani. Avevo salvato
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la città da un incendio. Avevo portato via
le navi nemiche con una sola corda. E ora,
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questo era il loro ringraziamento?
Ho capito che dovevo andarmene. Ma come? E dove?
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Per fortuna, avevo visto il mare. In lontananza,
c’era l’isola di Blefuscu, il nemico dei
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lillipuziani. Forse lì avrei trovato rifugio.
Una notte, con l’aiuto di Frelia, mi sono
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liberato. Lei ha tagliato le corde che bloccavano
la mia porta e mi ha lasciato una piccola bussola.
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Ho camminato lentamente verso la costa, nascosto
tra gli alberi. Quando sono arrivato al mare,
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ho trovato una barchetta costruita
per me dai blefuscani: mi aspettavano.
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Sono salito a bordo e ho iniziato a remare,
lontano da Lilliput, lontano dal tradimento.
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Capitolo 4 – Nel paese dei giganti
Ho navigato per giorni, spinto dal vento
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e dalla speranza. Avevo poco cibo, e la mia
piccola barca ballava sulle onde. Finalmente,
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una mattina, ho visto terra. Era un’isola verde,
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piena di alberi altissimi e campi enormi.
Sono sceso a riva e ho cominciato a camminare.
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Tutto intorno a me sembrava... troppo
grande. L’erba mi arrivava alla cintura,
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gli insetti erano enormi, e ogni
fiore era grande quanto la mia testa.
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Poi ho capito. Non era solo l’isola a
essere grande. Era tutto gigantesco…
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e io, minuscolo in confronto.
Ho sentito dei passi pesanti,
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come tamburi. Mi sono nascosto tra le
radici di un albero. Poco dopo, è passato
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un contadino. Era alto come un campanile. In
mano teneva una zappa grande quanto una barca.
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Ho cercato di scappare, ma un bambino – per
lui io ero come un giocattolo – mi ha visto e
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mi ha preso in mano. Rideva e mi scuoteva come
fossi un pupazzo. Ma poi è arrivato suo padre,
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il gigante contadino. Mi ha guardato
con curiosità e mi ha messo in tasca.
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Da quel momento, la mia vita è cambiata. Vivevo in
una gabbia fatta con ossa di animali. Mi davano da
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mangiare briciole grandi quanto pani interi. Ogni
giorno, il contadino mi mostrava alla gente del
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villaggio come se fossi un fenomeno da baraccone.
Un giorno, però, il re di quel paese ha sentito
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parlare di me. Ha mandato i suoi servitori
a cercarmi. Voleva vedermi con i suoi occhi.
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E così mi sono ritrovato,
ancora una volta, davanti a
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un re straniero. Ma stavolta ero io l’insetto.
E non avevo idea di cosa avrebbe voluto da me.
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Capitolo 5 – Il giudizio del re
Il re mi ha accolto nel suo palazzo con molta
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curiosità. Non aveva mai visto una creatura così
piccola e così… parlante. All’inizio rideva di me,
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ma presto ha capito che non ero solo un
giocattolo. Ero un uomo. Un uomo diverso,
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sì, ma capace di pensare, parlare e ragionare.
Ogni giorno mi faceva domande sulla mia patria,
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sull’Inghilterra, sulla nostra scienza, il
nostro esercito, i nostri re. Io cercavo
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di rispondere con onestà. Gli raccontavo delle
nostre guerre, dei cannoni, delle navi da guerra,
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dei politici e dei giudici.
Ma il re non era impressionato.
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Mi ascoltava, poi scuoteva la testa.
“Voi piccoli uomini”, mi ha detto un giorno,
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“siete bravi a costruire armi, ma non a costruire
pace. Siete intelligenti, ma crudeli. Sapete
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leggere e scrivere, ma non conoscete la saggezza.”
Quelle parole mi hanno colpito. Mi sono
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sentito offeso… ma anche un po’
colpevole. Era vero? Forse sì.
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Intanto, la vita al palazzo non era facile.
Ero sempre in pericolo. Una volta, una scimmia
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enorme mi ha preso per gioco e mi ha quasi ucciso.
Un’altra volta, una vespa gigante mi ha punto al
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braccio. Ero troppo piccolo per difendermi.
Mi sentivo inutile, debole, triste.
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Poi, un giorno, durante una passeggiata in riva
al mare, una grande aquila mi ha afferrato con
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i suoi artigli e mi ha sollevato in
aria. Ho urlato, mi sono dimenato,
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e alla fine mi ha lasciato cadere…
Sono finito in acqua, tra le onde.
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Ma questa volta, una nave vera mi ha trovato.
Erano uomini della mia taglia. Marinai inglesi.
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Ero salvo. Ma non sapevo se tornare
a casa… o cercare un nuovo viaggio.
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Capitolo 6 – Viaggi strani e isole volanti
Dopo mesi in mare con i marinai inglesi,
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sono tornato a casa. Mia moglie era felice di
rivedermi, ma io mi sentivo diverso. Il mondo
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mi sembrava più piccolo, più banale.
Avevo bisogno di partire di nuovo.
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Così ho preso posto su un’altra nave. Ma anche
stavolta il destino aveva altri piani. Una
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tempesta ci ha colti in pieno. Onde alte come
montagne, tuoni e fulmini… e poi silenzio.
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Quando ho riaperto gli occhi, galleggiavo su una
tavola di legno in mezzo al nulla. Poi, ho alzato
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lo sguardo e… non credevo ai miei occhi. Sopra di
me c’era un’isola. Ma non era un’isola normale:
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volava nel cielo, sospesa come una nuvola.
Era l’isola di Laputa.
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Mi hanno calato una corda e mi hanno tirato su.
Gli abitanti erano strani. Camminavano con la
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testa piegata da un lato, guardando il cielo
o fissando i numeri. Parlavano di matematica,
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musica e astronomia, ma non riuscivano a cucinare
un uovo o riparare una sedia. Alcuni avevano servi
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che li colpivano dolcemente sulla testa
per ricordargli di parlare o ascoltare.
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Ho vissuto con loro per qualche tempo, cercando
di capire la loro filosofia. Era affascinante,
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ma anche assurda. Studiavano le stelle ma
ignoravano la fame della gente sulla terra.
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Alla fine, ho chiesto di scendere
sull’isola sottostante, Balnibarbi,
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dove la gente viveva male proprio a causa
delle idee sbagliate arrivate da Laputa.
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Era come un mondo dove la mente
aveva dimenticato il cuore.
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Sapevo che dovevo andare ancora oltre.
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Sentivo che da qualche parte, nel vasto mare,
esisteva un luogo dove le cose avevano senso.
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E così ho lasciato anche quel mondo volante,
diretto verso l’ignoto… ancora una volta.
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Capitolo 7 – Gli uomini cavallo
Il mio viaggio è continuato. Ho visitato
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molte isole strane, parlato con scienziati
pazzi, re tristi e marinai disperati. Ma
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nessun luogo mi ha colpito come quello dove
sono finito dopo un naufragio improvviso.
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Mi sono svegliato sulla riva di una terra
tranquilla, coperta di foreste e prati.
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Ho camminato per ore, cercando
qualcuno. Finalmente, ho visto
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una creatura... e sono rimasto senza parole.
Era un cavallo. Ma non un cavallo qualunque.
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Camminava con eleganza, mi guardava negli
occhi con intelligenza. E poi… ha parlato.
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Non era un sogno. Questi cavalli, chiamati
Houyhnhnm, erano esseri razionali, calmi,
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giusti. Vivevano in armonia, senza guerre,
senza menzogne. Non conoscevano il denaro,
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la proprietà privata o la violenza.
Mi hanno accolto con rispetto, anche
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se erano sorpresi di vedere un Yahoo che parlava.
Così chiamavano gli esseri umani della loro terra,
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creature sporche, selvagge, aggressive.
Quando ho visto i Yahoo di quel mondo,
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ho provato vergogna. Erano simili a me nel corpo,
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ma rozzi e crudeli. I cavalli non capivano
come potessi essere diverso da loro.
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Ho vissuto per mesi con gli Houyhnhnm. Ho
imparato la loro lingua, le loro abitudini.
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Ogni giorno che passava, mi sembravano
più saggi, più umani… e io sempre meno.
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Ho cominciato a pensare che forse, davvero,
l’uomo è una bestia che si crede intelligente.
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Ma la mia presenza ha iniziato a creare
problemi. Alcuni Houyhnhnm dicevano che io,
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come Yahoo, non potevo restare.
Alla fine, con gentilezza,
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mi hanno chiesto di andarmene.
E così ho lasciato l’unico popolo
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saggio che abbia mai incontrato. Ma dentro
di me, qualcosa era cambiato per sempre.
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Stavo tornando tra gli uomini.
Ma… volevo davvero farlo?
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Capitolo 8 – Il ritorno a casa
Ho costruito una piccola barca con il poco che
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avevo. Un albero caduto, delle corde intrecciate,
un pezzo di vela. Gli Houyhnhnm non mi hanno
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aiutato, ma mi hanno salutato con dignità.
Sono partito all’alba, col cuore pesante.
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Vedevo la costa allontanarsi e sentivo già la
nostalgia. Ma il vento non mi ha lasciato pensare
-
troppo. Dopo giorni di fame, freddo e pioggia, una
nave portoghese mi ha raccolto in mezzo al mare.
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Il capitano era gentile, ma non riuscivo a
guardarlo negli occhi. Dopo tanti mesi tra i
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cavalli saggi, i suoi modi mi sembravano
volgari. La sua voce era troppo forte,
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i suoi racconti troppo pieni di bugie e vanità.
Quando siamo arrivati in Europa, sono tornato a
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casa. Mia moglie mi ha abbracciato,
i miei figli erano cresciuti.
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Ma io... io non ero più lo stesso.
Ogni gesto umano mi sembrava inutile,
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violento, ridicolo. Le persone correvano per
guadagnare denaro, discutevano per il nulla,
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si vantavano per sciocchezze. Ho cominciato
a passare le giornate nel giardino,
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in silenzio. Parlavano, ma io non ascoltavo.
Ho preso due cavalli, li ho sistemati nella stalla
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e passavo ore con loro. Non potevano parlare,
ma mi capivano. Con loro mi sentivo calmo.
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A volte mi chiedo se tutto quello che ho
vissuto sia stato reale. Ma poi guardo il
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mondo degli uomini... e so che qualcosa non va.
Racconto la mia storia per chi ha ancora orecchie
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per ascoltare. Non per vantarmi, ma per
ricordare che forse, da qualche parte,
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esiste una saggezza più grande della nostra.
E che per trovarla, a volte, bisogna perdersi.