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Il Gattopardo
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Capitolo 1
Il principe e la Sicilia che cambia.
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Ogni mattina inizia allo stesso modo:
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il suono delle preghiere, l'odore di cera e
fiori nella cappella di casa. Le mie sorelle
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recitano il rosario con devozione, mentre
io, seduto al mio posto, penso ad altro.
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Fuori il sole siciliano brucia la terra come
sempre, ma qualcosa è diverso nell’aria. La
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mia terra, così lenta a cambiare, sembra
ora correre verso qualcosa che non conosco.
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Le notizie arrivano da Palermo, da Napoli, da
oltremare. Garibaldi è sbarcato in Sicilia. La
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monarchia vacilla, e con essa la nostra vita.
I servi sussurrano, i nobili fingono di
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essere calmi e padroni della situazione,
anche se sono palesemente preoccupati.
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Ma io lo sento: il mondo come
lo conosciamo sta finendo.
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Tancredi, mio nipote, mi guarda con occhi
pieni di fuoco. Vuole partire e unirsi a quei
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liberatori. Dice che è giusto, che è il futuro.
Io sorrido, ma dentro sento un morso gelido.
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È giovane, sì, ma non stupido. Ha capito
prima di me che il potere si sta spostando.
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E io, principe Fabrizio di Salina, uomo di stelle
e silenzi, resto fermo mentre tutto cambia.
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Quella notte, guardando il cielo, ho visto
una stella cadere. Un presagio, forse.
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O forse solo l’inizio della fine.
Ma non lo sapevo ancora. Non del tutto.
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Capitolo 2
Don Fabrizio e il tempo che passa.
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A volte mi sveglio nel cuore della notte
senza sapere perché. Cammino piano per
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i corridoi bui della villa, ascolto i
miei passi sul marmo e penso al tempo.
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Il tempo è un animale silenzioso: ti cammina
accanto e poi, senza avviso, ti supera.
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Rivedo la mia giovinezza come
in uno specchio appannato:
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le cacce con gli amici, i viaggi,
gli studi. Tutto sembra così lontano.
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Ora ogni gesto è lento, ogni pensiero pesante.
La mia famiglia mi guarda ancora con rispetto,
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ma sento che non capisce più chi
sono. Neanche io, forse, lo so.
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Vivo tra riti e abitudini che non
cambiano mai: il pranzo alle 2:00,
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la passeggiata in giardino, le serate nel
salotto mentre mia moglie ricama in silenzio.
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Ma fuori il mondo corre. Le città esplodono.
La gente vuole votare, urlare, combattere.
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E noi, i nobili, restiamo chiusi nei
nostri palazzi a contare le ombre.
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A volte mi chiedo se tutto questo
ordine serva a qualcosa, se non sia
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solo un modo elegante per nascondere la paura.
E mentre l’isola si risveglia, io continuo a
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osservare come un leone stanco che sente, nella
polvere, l’odore del nemico che si avvicina.
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Capitolo 3
Tancredi è la nuova generazione.
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Tancredi è come il vento: non lo fermi, non
lo segui. Lo guardi passare e speri che torni.
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Quando mi ha detto che
voleva unirsi ai garibaldini,
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ho sorriso. Non per gioia, ma per rispetto.
Lui sa dove va il mondo. Io, invece,
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lo sto lasciando andare.
«Zio, se non cambiamo,
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ci cancellano», mi ha detto, con quegli
occhi brillanti e quella voce sicura.
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Parlava di patria, libertà, futuro.
Io vedevo solo polvere e disordine.
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Ma ho taciuto, perché in fondo ha ragione:
bisogna cambiare tutto per restare com'è.
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È la nostra unica speranza.
Tancredi porta con sé qualcosa
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che io ho perso: la voglia di vivere.
Ride, scherza, si innamora con facilità.
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Le donne lo adorano, gli uomini lo seguono.
È figlio di un mondo nuovo,
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nato sulle rovine del nostro.
Quando è partito con la divisa
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storta e la spada di scena, l’ho abbracciato. Ho
sentito il profumo del tabacco e della giovinezza.
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E ho avuto paura.
Non per lui. Per me. Per quello che rappresenta.
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Ora siedo nel mio studio,
guardando il suo ritratto.
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Il silenzio è profondo, e il futuro — il suo
futuro — galoppa lontano da me, senza voltarsi.
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Capitolo 4
L’incontro con Angelica.
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Quando Angelica è entrata nella
sala, il tempo si è fermato.
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La sua bellezza non era solo nei lineamenti:
era nei gesti, nello sguardo sicuro,
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nel silenzio che portava con sé.
Anche io, vecchio principe ormai stanco,
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ho sentito un brivido, come se qualcosa di
potente fosse entrato nella nostra vita.
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Tancredi l’ha vista e ha
dimenticato tutto: guerre,
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ideali, futuro. Era lì, davanti a lui, e bastava
uno sguardo per sapere che sarebbe stata sua.
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Non gliel’ho detto, ma l’ho capito subito.
E anche se lei è figlia di don Calogero Sedara,
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un uomo rozzo e arricchito, ho taciuto.
Perché Angelica non è come lui.
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È fuoco sotto il ghiaccio.
La nobiltà si stringeva nelle sue sete consumate
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cercando di ignorarla, ma lei brillava troppo.
Rappresentava quello che sta arrivando:
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una borghesia elegante, affamata,
pronta a conquistare tutto.
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Li ho osservati parlare, ridere, sfiorarsi appena.
E ho sentito una fitta dentro.
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Non di gelosia.
Di nostalgia.
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Angelica è il futuro mascherato da sogno.
E io, che conosco i sogni e le loro trappole,
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ho capito subito che niente sarà più come prima.
Quella sera ho alzato il calice e ho brindato,
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senza dire a nessuno che il
nostro mondo stava morendo.
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Capitolo 5
Il ballo e il tramonto dell’aristocrazia.
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Il salone era pieno di luci, risate e profumi.
I ventagli si muovevano come ali di farfalla.
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I violini suonavano valzer senza fine.
Palermo voleva dimenticare la guerra,
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le tensioni, le notizie confuse
che arrivavano dal continente.
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Ma io non dimentico.
Io osservo.
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Tutti erano lì: nobili vestiti d’oro, borghesi in
cerca di gloria, ufficiali con le divise lucide.
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Angelica dominava la sala. In ogni
suo passo c’era grazia e conquista.
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Tancredi le sorrideva, orgoglioso.
Era la sua notte, la loro vittoria.
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Io sedevo in disparte, come un re in esilio.
Le dame mi salutavano, i giovani
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venivano a baciarmi la mano.
Ma era cortesia, non rispetto.
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Lo sentivo nelle voci, nei gesti troppo
rapidi, negli sguardi che passavano oltre.
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Camminando tra gli specchi e i lampadari, ho
rivisto tutto ciò che siamo stati — e tutto
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ciò che non saremo più.
I muri ridevano di noi,
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dei nostri titoli, delle nostre medaglie.
A un certo punto ho chiesto un bicchiere
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d’acqua. Solo acqua, perché il vino
quella sera avrebbe bruciato troppo.
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Poi l’ho visto: il mio riflesso.
Stanco, grigio, fuori tempo.
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E ho capito che non ero più un principe.
E forse non lo ero mai stato davvero.
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Capitolo 6
Il matrimonio e la nuova realtà.
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Il giorno del matrimonio di Tancredi
e Angelica fu splendido. Eppure amaro.
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Il cielo era chiaro, i fiori
freschi, gli abiti brillanti.
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La gente applaudiva, le campane suonavano.
Tutto era come doveva essere.
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Eppure, dentro di me, qualcosa si spezzava.
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Tancredi era raggiante, Angelica, in
abito avorio, sembrava una regina.
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Ma io sapevo che non era solo un’unione
d’amore: era un’alleanza tra il sangue
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antico dei Salina e il denaro nuovo dei Sedara.
Un compromesso necessario. Una resa elegante.
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Don Calogero, il padre della
sposa, sorrideva troppo.
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Guardava ogni invitato come
se stesse contando monete.
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Ogni parola che diceva era fuori
luogo, ma nessuno osava correggerlo.
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Ora anche lui faceva parte del nostro mondo.
O almeno così credeva.
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Durante la cerimonia, ho guardato le mani
di Tancredi stringere quelle di Angelica.
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Giovani, sicure.
Le mie, nascoste
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dietro la schiena, tremavano appena.
Perché quello che vedevo era il futuro.
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E io non ci appartenevo.
A tavola, tra brindisi e risate,
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ho alzato il calice ai nuovi tempi, ho detto.
Tutti hanno applaudito.
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Ma io pensavo solo a una cosa:
avevamo aperto la porta al cambiamento,
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e il cambiamento non chiede
mai il permesso per entrare.
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Capitolo 7
Solitudine e fine del principe.
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La casa è più silenziosa, ora.
I figli sono lontani.
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Tancredi vive a Palermo, Angelica
organizza ricevimenti, partecipa a salotti.
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Io resto qui, nella villa di
Donnafugata, tra mobili antichi
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e abitudini che non servono più a nulla.
Ogni mattina cammino lentamente nel giardino.
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Gli alberi sono gli stessi, ma io no.
Il corpo si piega, la mente vaga.
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Non ho più desideri, solo ricordi.
E ogni tanto un pensiero fisso:
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quando verrà il momento?
La politica non mi interessa più.
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I nuovi governanti parlano tanto,
promettono tutto. Ma io non ci credo.
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Non è davvero cambiato niente. Solo le facce.
Il popolo resta povero.
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La Sicilia resta immobile sotto il sole.
La verità è semplice: qui tutto cambia
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per non cambiare mai davvero.
Passo i pomeriggi a osservare il
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cielo che si fa rosso come una fiamma lenta.
Sento la morte vicina, ma non con paura.
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La guardo come si guarda
un vecchio amico in arrivo.
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Una sera, mentre il sole calava dietro le
colline, ho sentito un sollievo profondo.
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Come se tutto avesse finalmente un senso.
E per la prima volta ho capito che
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non siamo padroni della nostra fine.
Ma possiamo almeno sceglierne il silenzio.
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Capitolo 8
Tutto deve cambiare per restare com'è.
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Ora che non ci sono più, forse
qualcuno parlerà ancora di me.
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Diranno che ero un uomo d’onore, un
principe colto, un sognatore stanco.
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Ma la verità è un’altra: ho solo
osservato il tempo scivolarmi tra le dita,
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come sabbia calda in una mano che non stringe più.
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Dopo la mia morte, la vita è andata avanti.
Tancredi è diventato deputato, poi senatore.
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Angelica è diventata una figura
brillante della nuova società siciliana.
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Hanno figli, feste, fotografie.
Parlano di progresso, di modernità.
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Eppure, se si guarda bene,
tutto è rimasto com’era.
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I contadini sono ancora poveri.
I palazzi antichi cadono a pezzi.
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I potenti cambiano nome, ma non abitudini.
La Sicilia si lascia cambiare in superficie, ma
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dentro resta uguale: orgogliosa, ferita, immobile.
Un giorno, molti anni dopo, una delle mie figlie
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trovò il mio vecchio cane, morto,
dimenticato in una stanza chiusa.
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Nessuno lo aveva più cercato.
Lo seppellirono in silenzio,
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come una reliquia del passato.
Forse fu quello, davvero,
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il funerale del mio mondo.
Ora il mio nome è inciso su una lapide fredda.
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Ma se qualcuno mi chiedesse cosa ho
imparato, risponderei solo questo:
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perché le cose restino com’erano,
bisogna che tutto cambi.